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Tumore prostata

Terapia di mantenimento con Capecitabina e Bevacizumab versus Bevacizumab da solo dopo iniziale trattamento di prima linea con Bevacizumab e Docetaxel nel tumore mammario metastatico HER2-


Una maggiore durata della chemioterapia di prima linea per le pazienti con carcinoma mammario metastatico è risultata associata a prolungata sopravvivenza globale e a migliore sopravvivenza libera da progressione.

È stata studiata l’aggiunta di Capecitabina ( Xeloda ) a Bevacizumab ( Avastin ) di mantenimento dopo il trattamento iniziale con Bevacizumab e Docetaxel ( Taxotere ) in questo ambito.

È stato effettuato uno studio in aperto randomizzato di fase 3 presso 54 ospedali in Brasile, Cina, Egitto, Francia, Hong Kong, India, Italia, Polonia, Spagna e Turchia.
Sono state arruolate pazienti con carcinoma alla mammella metastatico misurabile HER2-negativo.
Ciascun paziente ha ricevuto da 3 a 6 cicli di trattamento di prima linea con Bevacizumab ( 15 mg/kg ) e Docetaxel ( 75-100 mg/m2 ) ogni 3 settimane.

Le pazienti senza progressione sono state assegnate in modo casuale a ricevere Bevacizumab e Capecitabina o Bevacizumab da solo ( Bevacizumab 15 mg/kg al giorno 1; Capecitabina 1.000 mg/m2 due volte al giorno nei giorni 1-14, ogni 3 settimane ) fino alla progressione, stratificate in base allo stato del recettore dell'estrogeno ( positivo vs negativo ), metastasi viscerali ( presente vs assente ), stato della risposta ( malattia stabile vs risposta vs non-misurabile ) e concentrazione di lattato deidrogenasi ( minore o uguale a 1.5 vs superiore a 1.5 x il limite superiore della norma ).

L'endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione ( dalla randomizzazione ) nella popolazione intention-to-treat.

Tra il 2009 e il 2011 ( quando l'iscrizione allo studio è terminata anticipatamente ), 284 pazienti hanno ricevuto Bevacizumab iniziale e Docetaxel; 185 ( 65% ) sono state assegnate in modo casuale ( 91 a Bevacizumab e Capecitabina versus 94 a Bevacizumab da solo ).

La sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente superiore nel gruppo Bevacizumab e Capecitabina rispetto al gruppo con Bevacizumab da solo ( media 11.9 mesi vs 4.3 mesi; hazard ratio stratificato 0.38; log-rank P minore di 0.0001 ), così come lo è stata la sopravvivenza generale ( media 39.0 mesi vs 23.7 mesi; HR stratificato 0.43; log-rank P=0.0003 ).

I risultati per tempo alla progressione sono stati coerenti con quelli per la sopravvivenza libera da progressione.

78 pazienti nel gruppo Bevacizumab e Capecitabina ( 86% ) e 72 pazienti nel gruppo con solo Bevacizumab ( 77% ) hanno avuto una risposta obiettiva.

Il beneficio clinico è stato registrato in 92 pazienti nel gruppo con solo Bevacizumab ( 98% ) e in 90 pazienti ( 99% ) nel gruppo Bevacizumab e Capecitabina.

La variazione media rispetto al basale del punteggio di salute globale non è cambiata in modo significativo tra i gruppi.

Gli eventi avversi di grado 3 o superiore durante la fase di mantenimento sono stati più comuni con Bevacizumab e Capecitabina rispetto a Bevacizumab da solo ( 45 pazienti su 91, 49%, vs 25 pazienti su 92, 27% ).

I più comuni eventi avversi di grado 3 o peggiori sono stati sindrome mano-piede ( 28 nel gruppo Bevacizumab e Capecitabina, 31% vs nessuno nel gruppo Bevacizumab da solo ), ipertensione ( 8 [ 9% ], vs 3 [ 3% ] ) e proteinuria ( 3 [ 3% ], vs 4 [ 4% ] ).
Gli eventi avversi gravi sono stati riportati da 10 pazienti ( 11% ) nel gruppo Bevacizumab e Capecitabina e da 7 pazienti ( 8% ) nel gruppo Bevacizumab da solo.

Nonostante il reclutamento di pazienti interrotto e la mancanza di informazioni circa il trattamento post-progressione, sia la sopravvivenza libera da progressione che la sopravvivenza globale sono sensibilmente migliorate con Bevacizumab e Capecitabina rispetto a Bevacizumab da solo come terapia di mantenimento.
Questi risultati potrebbero essere utili per i futuri studi di mantenimento e le attuali strategie di trattamento di prima linea per il tumore alla mammella metastatico HER2-negativo. ( Xagena2014 )

Gligorov J et al, Lancet 2014;15:1351-1360

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